Ovviamente c’era da aspettarselo: la Corte costituzionale tedesca si presta al gioco e fornisce un chiaro assist al suo governo al fine di far pressione alla BCE per un drastico ridimensionamento del QE in atto.
La Corte, perentoriamente, e non si sa con quale potere giuridico, poi, ingiunge alla BCE, (che ha sede a Francoforte, forse sarà per quello), di fornire giustificazioni (ai tedeschi) entro tre mesi.
La preoccupazione evidente che sta ossessionando la Germania non è il pagare debiti altrui, cosa, questa, tecnicamente impossibile con le manovre di QE, quanto piuttosto di vedere eroso il proprio vantaggio finanziario, sinora accumulato con l’attuazione delle sue politiche mercantiliste attuate in violazione dei trattati UE ed a danno dei paesi del sud Europa.
Se non stupisce più di tanto la debole reazione conseguente alla decisione della Corte che si è avuta in sede europea, stupisce, invece, e non poco, l’impalpabilità delle reazioni in Italia da parte di chi ha l’onere della guida del paese.
E’ evidente che, da parte della Germania, limitare il QE, dopo aver affossato gli eurobond e spostata al 2021 la discussione sui recovery bond, significa, ne più e ne meno, mettere esplicitamente sotto attacco finanziario il nostro paese e ciò, soprattutto in un momento di grave debolezza come questo non può essere né accettato e né tollerato.
In un recente articolo il Finacial Times ha sottolineato come in questa situazione di grave recessione economica sarebbe necessario che la BCE procedesse in modo poderoso ad emettere moneta acquistando titoli di stato dei paesi in difficoltà, come l’Italia. E’ la linea che stanno seguendo, ad esempio, la FED americana e la Banca del Giappone. Si tratta di un consiglio del tutto condivisibile e che costituisce l’idea base di quanto scritto nelle pagine di questo sito: in talune situazioni di particolare difficolta economica è necessario che la Banca Centrale emetta moneta senza indebitamento da parte degli stati.
Tale ipotesi, però, è sempre stata avversata con la scusa che così procedendo si creerebbe inflazione. Si tratta questo, a ben vedere, di un pericolo reale e concreto che può essere scongiurato a queste precise condizioni: la liquidità immessa nel sistema deve essere impiegata in modo produttivo, mediante la creazione di nuovi beni e servizi, mantenendo così rispettata l’eguaglianza fra incremento di base monetaria ed aumento di PIL; inoltre, occorre un’attenta coordinazione fra politiche fiscali e misure monetarie, (intendendo quale politica fiscale l’azione governativa volta ad investimenti produttivi e strutturali anti ciclici).
Questo, oggi, purtroppo è ben lungi dal realizzarsi. Infatti, assistiamo alla massima disorganicità, oltre che sull’entità degli interventi anche sulla loro tipologia e coordinazione. Tutto ciò rischia concretamente di non sortire gli effetti sperati di ripresa. È necessario che le due leve della politica economica, ovverosia quella fiscale e quella monetaria, siano strettamente congiunte e coordinate, non separate, come d’uso, invece, nello scenario odierno.
Prendiamo la situazione italiana a titolo di esempio: 1. il governo palesa chiaramente di non avere risorse sufficienti per gli immediati interventi di sostegno alle imprese, alle famiglie e, più in generale, all’economia; 2. le misure annunciate di interventi pubblici, 6 miliardi all’anno per 10 anni, sono del tutto inadeguate, occorrendo, invece, investimenti almeno decuplicati, da realizzarsi in un lasso temporale non maggiore ai due anni; 3. l’abdicazione da parte del nostro Stato sia alla potestà monetaria, avvenuta negli anni ’80 con la privatizzazione della Banca d’ Italia e con la successiva introduzione dell’euro, sia alla potestà fiscale avvenuta nel 2011 con l’introduzione, per volere della Germania, del pareggio di bilancio nella nostra Costituzione, ci obbliga, oggi, ad indebitarci mendicando aiuti in sede europea. Ma uno stato che voglia porre rimedio al drammatico scenario economico che ha di fronte dovrebbe guardare oltre, emettendo moneta da investire proficuamente a sostegno del proprio paese.
È chiaro che stiamo descrivendo uno scenario di economia mista ma riteniamo che nella situazione attuale questa sia l’unica strada da percorrere. Ovvio anche che il presupposto essenziale per attuare quanto descritto è la correttezza dell’agire politico e la concreta capacità di programmazione.
Le risorse per realizzare tutto ciò ci esistono e, come detto, le ha la Banca centrale, sol che essa venisse fatta agire nel modo in cui dovrebbe, presupponendo che l’Istituto di emissione debba sottostare alle linee economiche decise in sede politica.
Ma evidentemente, a livello istituzionale europeo siamo ben lungi da questo scenario: come sappiamo, infatti, l’architettura finanziaria comunitaria prevede una netta autonomia della Banca centrale, retta su un sistema piramidale privatistico, il cui governo della moneta è asservito più alle logiche commerciali del profitto che non di soddisfacimento dei bisogni delle comunità.
La logica sottintesa è quella del paradigma del debito, in quanto anche gli stati devono soggiacervi, in modo egregio e performante, pena gravi ripercussioni sui mercati finanziari, anch’essi mossi da logiche aliene ai reali bisogni sociali, con conseguenti pesanti tagli alle spese sociali e successive privatizzazioni, a tutto vantaggio e profitto, evidentemente, dei grandi poteri economici.
Questo scenario deteriore nasce da precise cause: da un lato vi è la necessità che il modello di deregolamentazione e privatizzazione, che ha preso l’avvio negli anni 80, funzionale alla globalizzazione economica, continui, perché così desidera, come appena detto, chi ha interessi collegati, mentre, dall’altro lato vi è il desiderio di quelle nazioni, in primis la Germania, che si sono enormemente a vantaggiate con il sistema euro realizzando indebiti surplus commerciali e finanziari a danno dei paesi del sud Europa ed in violazione dei trattati.
Come noto il mantra recitato da queste nazioni è che esse non vogliono una condivisione del debito, cosa questa, forse capibile per strumenti come il Mes pseudo riformato o gli eurobond ma del tutto fuori luogo nei confronti dell’emissione di nuova moneta da parte della BCE volta alla sottoscrizione di titoli di stato dei paesi in difficoltà.
Le opposizioni tedesche alle manovre di QE provano proprio questo: il timore che con esse si perda quel vantaggio competitivo sinora accumulato. Vantaggio che, si badi bene, deriva non solo dalle capacità imprenditoriali teutoniche ma anche e soprattutto dalle ampie concessioni ottenute dalla Germania sia nel dopo guerra che dopo la riunificazione.
In poche parole se la Germania non fosse stata fortemente aiutata ad uscire dal baratro post bellico non sarebbe oggi nella florida situazione economica in cui si trova.
Peccato che ora, proprio chi ha beneficiato di tanta solidarietà, si dimostri pervicacemente insensibile alle più che giustificate e necessitate richieste avanzate da parte dei paesi che adesso si trovano in difficoltà.
Ma c’è da starne certi: il tempo prima e la storia poi, ci diranno se queste scelte che palesano una chiara volontà di dominio finanziario si rivelerenno sagge, oppure, ancora una volta, drammaticamente errate.
Lo stato siamo noi, e se questo è vero, in questo momento di difficoltà sociale ed economica è necessario che esso intervenga con investimenti diretti nell’economia in piena recessione.
Sinora, in Italia, il governo ha varato alcuni noti provvedimenti volti, da un lato, a fronteggiare l’emergenza sanitaria e, dall’altro, a fornire un minimo di liquidità a dipendenti, lavoratori autonomi e piccoli imprenditori.
La logica seguita non si è discostata dal paradigma di base, ovverosia la creazione di base monetaria mediante indebitamento. Indebitamento da parte dello stato, alle prese con fonti di copertura interne e soprattutto europee, ed indebitamento dei privati mediante il ricorso al debito bancario con garanzia pubblica.
Si tratta di soluzioni emergenziali provvisorie e di certo non sufficienti.
Ciò che è necessario è il varo di un’ampia manovra di efficienti ed efficaci investimenti pubblici nell’economia, volti a creare quell’effetto moltiplicatore, teorizzato da Keynes ed applicato concretamente da Roosvelt negli Stati Uniti, dopo la grande depressione del 29 e col piano Marshall nell’immediato dopoguerra in Europa.
Oggi, dopo decenni di cultura neoliberista, con la completa privatizzazione del sistema monetario, sia a livello nazionale che europeo, e con l’ampio varo di programmi di privatizzazione di interi settori, previa demonizzazione del settore economico pubblico, l’attuazione di tali politiche appare difficoltosa.
Non vi è solamente un ostile approccio ideologico ma anche una strutturazione istituzionale finanziaria a livello europeo che impedisce il ricorso ad una politica monetaria espansiva congiuntamente ed in coordinazione con la concomitante adozione di interventi fiscali (in senso lato) volti all’attuazione di investimenti in settori strategici, capaci di creare effetti volano su intere filiere.
La limitatezza delle misure adottate, presenti e future, nonostante il dramma umano e sociale di questa crisi, non tarderanno a manifestare, nei prossimi mesi i loro effetti dirompenti.
Come da sempre sosteniamo non si tratta di un problema di reperimento di risorse finanziarie, in quanto queste possono essere create, a patto che vengano investite proficuamente nella realizzazione di beni e servizi, ma di volontà politica nel cambiamento di paradigma nella gestione dell’economia, giungendo ad una unificazione delle misure monetarie con quelle fiscali.
Ma ancor prima occorre una presa di consapevolezza anche da parte di coloro che detengono saldamente il potere economico: infatti il vincolo del debito, pur se sino ad oggi è stato un chiaro strumento di potere, finirà per far soggiacere anch’essi alla sua stessa logica.
I prossimi mesi cominceranno a palesare le evidenze di una crisi senza precedenti: occorre intervenire senza esitazione, prima che sia troppo tardi.
Il coraggio per fare i cambiamenti occorre averlo, sprattutto nei momenti drammatici, come quelli che stiamo vivendo in queste settimane. Momenti determinanti, fra l’altro, anche per il futuro dell’Unione europea.
Le risorse necessarie per fronteggiare questa crisi esistono e si trovano nei forzieri della BCE, la quale, evidentemente, non ha alcuna difficoltà nel creare il denaro che serve. Del resto, tutte le banche centrali possono creare il “denaro dal nulla”.
Una volta creato tale denaro deve essere impiegato nell’acquisto di titoli di stato a tassi molto bassi o nulli, di modo che i “mercati” non potranno iniziare la solita giostra degli spread.
Ovviamente gli stati che percepiscono tali risorse le devono impiegare, necessariamente, per creare valore, ovverosia beni e servizi utili alla collettività.
Tutto ciò, è chiaro, non lo vuole chi detiene il controllo piramidale del sistema monetario, da cui dipende anche la BCE e che attualmente funziona seguendo rigidamente il paradigma del debito, che, a quanto pare, non può e non vuole essere spezzato nemmeno in contesti come questo.
Dall’altra parte vi sono gli stati, che del sistema euro hanno profittato per ralizzare saldi finanziari derivanti da eccedenze di export, in violazione dei trattati. Stati che si oppongono al cambio delle regole del gioco che necessariamente li costringerebbero a cedere una parte di questo vantaggio sinora accumulato a danno dei paesi che ora chiedono aiuto.